Come ogni avventura, come ogni allenamento, gara o spedizione, tutto inizia con una partenza.

Nel running, in particolare nell’Ultra Trail running, si fa sempre un gran parlare del “viaggio”, del tempo speso in giro e di tutto quello che si prova durante le ore in solitaria: delle sensazioni, della sofferenza, della paura, delle crisi e della gioia del “durante”; ma raramente si spendono buone parole per una fase di questo sport, che per me invece è molto intensa ed importante: la partenza.

Tutto inizia la sera prima, quando metti in ordine i pensieri, prepari lo zaino e dai la buonanotte in videochat ai tuoi cari a casa, che pazientemente sopportano la tua lontananza e amorevolmente ti supportano, sapendo che tutto questo ti rende felice (e un po’ malinconico, chi ha famiglia lo sa) e ti fa diventare ogni volta una persona migliore.

 

I compagni di viaggio, in questo caso, aiutano a liberare la mente da presagi improduttivi.

Indiscutibilmente, in una gara, la “partenza” è differente e, personalmente, negli anni, le sensazioni sono cambiate molto.

All’inizio, alle prime competizioni, ovviamente più corte in termini di chilometraggio e non facenti parte di circuiti ciclopici come l’UTMB, i pensieri sono quasi sempre “preoccupati”: avrò freddo? Mi farà male lo stomaco? (il mio punto debole), ce la farò ad arrivare in fondo? E se mi faccio male? E la sempreverde: dove mi sono andato a cacciare?

La paura è un’arma a doppio taglio: ti rende vigile, attento, ti permette di focalizzarti su quelle variabili che puoi controllare: mettere bene i piedi, affrontare quel passaggio che sai essere rischioso con più cautela, tentare di gestire il ritmo per non saltare in aria al quinto chilometro…

Ma il suo lato oscuro è quello di escluderti dalla possibilità di apprezzare il momento; ti spinge a chiudere la gara quasi di fretta, in modo da poterla “archiviare” e finalmente rilassarti.

La paura ti porta subito all’arrivo, facendoti saltare la magia della partenza e la meraviglia del viaggio.

È inevitabile: come per tutte le cose, la serenità arriva con l’esperienza. Prima di poterti rilassare un po’ ad una partenza, devi prima averne vissute un po’.

Devi aver sopportato una tempesta a febbraio o il caldo infernale d’agosto, devi esserti perso sul tracciato, essere stato male di stomaco e aver sentito le gambe mollarti nei massacranti ultimi 10 chilometri in discesa, quando in lontananza senti già lo speaker dell’arrivo. Ma quell’arrivo è una chimera, perché quando inizi a intravedere il paese, è lì che il tracciato svolta e ti riporta in mezzo al nulla per un’altra ora.

Il trail ci fa: 🙂 e ci deve fare 😀

Tutta questa esperienza, crea però nel tempo un filtro per la paura, lasciandotene la giusta dose, che mantiene in te la consapevolezza di che follia stai per intraprendere, ma rende allo stesso tempo più marcato il lato positivo: la magia della partenza.

Quando ci si ammassa in griglia, ci sono una varietà di emozioni e situazioni che si mescolano insieme, uniche, che portano la firma di ognuno di noi.

C’è chi affronta la sua prima lunga distanza e, nello sguardo, vedi la curiosità, l’apprensione, il nervosismo del debutto; c’è il professionista in prima linea, lontano, in tutti i sensi, apparentemente calmo, ma che, invece, nella sua mente è una corda di violino, concentrato al massimo mentre ripassa il tracciato in ogni sua minima sfumatura, con in testa un solo pensiero: vincere.

C’è chi fa battute per sdrammatizzare, c’è il motivatore che guida il gruppo con frasi quasi pastorali, chi si accorge che non è andato in bagno (dramma!!!), chi è arrivato in ritardo e non trova i compagni e chi sgomita come un folle mettendo a posto bastoncini, manicotti, cibo e chi più ne ha più ne metta.

Il mondo è bello perché è vario, oh no?

E poi ci sono io, dall’alto dei miei 173 cm e 62 kg di stazza 😀

Col tempo, con l’esperienza, ho imparato a godermi questo momento meraviglioso. La musica epica, lo speaker che incalza, l’aria fredda del mattino o gelata della notte, le persone meravigliose e vibranti che ho accanto.

Di solito, alzo lo sguardo al cielo e chiudo gli occhi, lascio che le braccia si distendano lungo i fianchi e sfrego lentamente pollici e indici, come faceva Indiana Jones prima di afferrare l’idolo d’oro in “Il Tempio Maledetto”; è un mio piccolo rito.

Mi lascio permeare da quell’energia meravigliosa e ringrazio per essere lì in quel momento; auguro buon viaggio ai miei amici, a ognuno di loro.

Accenniamo un abbraccio di gruppo, ma di solito non ci riesce.

Sappiamo che non ci vedremo più prima dell’arrivo e che, come ogni volta, saremo soli per tutto il tragitto.

Mi sento come uno degli uomini di Leonida in partenza per le Termopili; so che davanti a me ho dalle sei alle otto ore di marcia, e la gratitudine lascia spazio alla determinazione, alla concentrazione e ad un briciolo di apprensione. Lo speaker e la musica aumentano di volume e tutti alziamo le mani applaudendoci uno con l’altro. Mi sfrego le mani, faccio un altro mio piccolo rito ben augurante e aggiusto lo zaino.

Ci siamo, quasi.

Negli ultimi dieci secondi del conto alla rovescia, la mente si libera completamente, tutto scompare.

Dieci secondi, il respiro, prima del grande balzo.

Ad unisono, tutti si piegano leggermente in avanti, proiettati verso l’avventura, pronti a far scattare l’orologio. Siamo una sola cosa, siamo tutti insieme, un ultimo pensiero alla mia famiglia che è a casa, probabilmente ancora addormentata; li sentirò ore dopo.

In quel momento, alle gare gestite dai grandi circuiti, con migliaia di persone intorno, l’atmosfera è talmente emozionante che a volte mi si è chiusa la gola in un groppo, quasi a commuovermi.

E poi: tre, due, uno… andiamo!

Partiamo tutti insieme, ognuno con i suoi pensieri. I primi chilometri sono i peggiori: la mente è ancora elastica e studia a velocità supersonica la strategia, mentre sgomiti tra mille persone per prendere il tuo ritmo e il tuo spazio.

Non penso a niente, mi concentro sul respiro, sul cuore e su non strafare da subito.

La linea di partenza ormai è già lontana, la musica non si sente più, l’unico rumore è la marcia collettiva.

Corriamo.